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![]() "LA MIA PRIMA AMICA" |
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Il cortile era zeppo di bambini, per lo più in movimento. Solo alcuni sostavano
a gruppetti, sui gradini d’ingresso o appoggiati alle mura esterne dell’asilo.
La confusione proveniva soprattutto da un misto di voci, richiami, urla improvvise
che creavano una sinfonia spezzata, eterogenea. Una bambina scese i gradini accompagnata da una suora. La religiosa le disse qualcosa all’orecchio, le fece una carezza sui capelli neri e corti, poi se ne andò. La bambina si guardò intorno. Stette immobile per qualche minuto. Doveva essere nuova del posto. Prese a camminare senza una direzione precisa. Avanzava, tornava indietro, si fermava ancora. Infine, con una decisione inaspettata si diresse verso un angolo dell’edificio. C’era un’altra porta, chiusa, a differenza dell’altra da cui i bambini entravano e uscivano. Anche questa era sopraelevata, rispetto al terreno, e davanti aveva dei gradini sui quali stavano sedute alcune bambine. La nuova arrivata disse in modo educato: -Ciao!- Si avvicinò ancora di più e aggiunse: -Posso giocare con voi? Dal gruppetto si alzò con vigore una biondina. Con un movimento a scatto della testa spostò di lato i suoi capelli lunghi, distese un braccio e con le dita aperte premette forte sul petto della compagna di fronte a lei: - Vai via! Non puoi giocare con noi! La bambina dai capelli neri e corti indietreggiò. La sua fronte si corrugò, aprì la bocca ma non riuscì a dire nulla. Le altre del gruppetto avevano un’aria divertita. Solo una si alzò e chiese: - Ma perché non può giocare con noi? Perché la mandi via? - Non vedi?- rispose la biondina con voce forte - Lei ha il grembiule a righe, non ce l’ha a quadretti come noi. È diversa. Non la voglio! La bambina col grembiule a righe si allontanò. Restò lì, ferma, a guardarsi addosso. Era quasi mezzogiorno, il sole diventava più caldo e i bambini cercavano un posto all’ombra. Lei no. Non si spostava. A guardarla non si poteva capire cosa stesse pensando. Aveva il dorso curvo, come una vecchietta, le mani trovavano un appoggio nelle tasche. Arrivò la suora di prima. La accarezzò di nuovo. Le indicò una finestra. Dietro al vetro c’era una mamma. Lei e la bambina si salutarono. La suora disse ancora qualcosa. Poi sospinse la bambina verso altre coetanee. Tra di loro c’era quella che aveva cercato di aiutarla. Si sorrisero, in modo riservato, a distanza. Poi i loro sguardi crearono una specie di ponte invisibile. Lo percorsero, si avvicinarono. Anche la ragazzetta col grembiule a quadretti bianchi e rosa aveva i capelli corti, più chiari dell’altra e un po’ ondulati. Nel suo visetto fine gli occhi si illuminarono quando esclamò: - Io mi chiamo Giovanna. E tu? - AnnaMaria - fu la risposta. -Vuoi vedere la mia casa? Guarda quel pino alto là in fondo. Il tetto vicino…quella è la mia casa. - Quando usciamo dall’asilo vengo a casa tua. Ma prima lo dico alla nonna. - Ho un gattino, sai. Si chiama Cipolla… Sulla soglia apparve una suora. Estrasse dalla tasca della sua gonna drappeggiata un campanello. Lo sbattè con energia. Gridò con voce categorica: – E’ pronto! In fila per due! Scendiamo nel refettorio. Giovanna e AnnaMaria si diedero svelte la mano. Alle loro spalle si formò una lunga coda di bambini strepitanti: a tratti si urtavano, a tratti aggiustavano le distanze, quindi allungavano un braccio in cerca di una mano da stringere. Le due amiche non se ne curarono. (L’amicizia fra me e Giovanna durò alcuni mesi. In prima elementare ci separarono. La rividi di sfuggita. Seppi che aveva cambiato paese. Ho scritto il suo nome e cognome in Facebook: non l’ho trovata.) (racconto di Anna Maria Tettamanzi - 2010) |